Shirley aveva scelto di andare a vivere da sola in quella casa isolata nel bosco,
perché fin da piccola aveva sognato quella casetta,
appartenuta a suo padre e ancora prima a suo nonno.

Alcuni anni prima aveva perso entrambi i genitori in un incidente sulla “route 66” e da allora aveva rifiutato la città ed il contatto con chiunque le ricordasse quanto terribile potesse a volte essere la vita.
Così si era trasferita in quella casa in legno.
Ancora giovane e piacente, ma senza il desiderio di costruirsi una famiglia si era dedicata a se stessa, alle cose semplici, scegliendo di dimenticare l’umanità e i suoi dolori.

In quella casa. circondata da alberi così alti che a volte si faceva fatica a scorgere il sole, che per anni suo padre aveva utilizzato come capanno per la caccia non v’era nulla,
niente acqua, niente corrente elettrica, figuriamoci un telefono o un televisore.

Per farsi luce, durante le lunghe notti, aveva imparato ad estrarre la resina dal tronco del Peccio di Sitka, un albero della famiglia dei Pinaceae dalle foglie aghiformi e dalle pigne di forma stretta ed allungata.
Quella resina poi messa in contenitori metallici di vario genere si incendiava facilmente illuminando buona parte di quell’unico ambiente che svolgeva le funzioni di salone, cucina e stanza da letto,
per il bagno invece suo nonno aveva costruito all’esterno una piccola struttura di un metro per un metro che d’inverno diventava certo più difficile da utilizzare.

Per cucinare o lavarsi andava a prendere l’acqua al torrente che scorreva poco lontano e lo faceva aiutandosi con un vecchio secchio di metallo di quelli usati anticamente per contenere il latte durante la mungitura delle mucche
e poi per bollirla e riscaldarsi c’era il vecchio camino,
perfettamente funzionante, lo stesso camino dal quale,
una volta che i suoi genitori anni prima avevano deciso di passare le feste proprio li,
ricordava di aver atteso trepidante l’arrivo di Babbo Natale.

L’unico mezzo moderno che aveva mantenuto funzionante era un vecchio Pickup Chevrolet s10 del 1965 che utilizzava di rado, per arrivare al piccolo paese ai piedi della montagna che distava 35 miglia,
Un ora e quaranta di viaggio andata e ritorno che faceva a volte per scambiare un poco di polvere d’oro con articoli di prima necessità.

Si proprio così, dal torrente che scorreva all’interno della sua proprietà durante l’estate estraeva una piccola quantità di oro che le permetteva di vivere senza dover chiedere pensioni o sussidi, insomma non era povera, ma in quegli anni non si era di certo arricchita.

Il Branco

La prima volta che vide un Lupo, probabilmente fu nell’inverno del 1988, stava tagliando della legna appena fuori dal portico e ne scorse gli occhi tra gli alberi a circa 50 metri in direzione Ovest.
E nel vederlo pensò immediatamente che, se i lupi scendevano verso valle cercando qualcosa da mangiare già a metà autunno, allora voleva dire che l’inverno quell’anno sarebbe arrivato con anticipo.
Così non si sorprese, quando qualche giorno dopo i primi fiocchi di neve imbiancarono la radura di fronte alla casetta.

Gli avvistamenti dei lupi proseguirono quello stesso inverno, prima sporadici, poi sempre più frequenti, fino a che un paio di esemplari più giovani e audaci degli altri cominciarono ad avvicinarsi, attraversando titubanti il breve tratto di prato che divideva la foresta dalla casa…
Uno dei due aveva una macchia bianca su un occhio e lei quasi immediatamente lo chiamò Spot mentre l’altro di taglia leggermente più grande aveva il pelo con delle sfumature nere che dalla schiena grigiastra, procedevano scurendosi sempre più giù fino alle zampe che, erano così nere rispetto al resto del mantello da sembrare che quel lupo indossasse degli stivali, così lo chiamò Boots.
Lei guardandoli da dietro la finestra sorrise, ma senza mostrare loro i denti, perché ricordava che una volta il nonno le aveva detto che, quando i lupi mostrano i denti, lo fanno per difendere un territorio, per affermare il loro predominio o per sfidare il maschio Alfa.

Il giorno che lo vide per la prima volta, completamente nero con gli occhi profondi, capì immediatamente come quel Lupo grande e muscoloso che scrutava la radura da una formazione rocciosa leggermente rialzata doveva essere l’Alfa, il Comandante, un orecchio reciso a metà, e i molteplici graffi sul muso lasciavano intuire quale fosse il suo valore in battaglia.
Shirley pensò: meglio non mettersi sulla sua strada e mentalmente lo battezzò Black Commander.
La femmina, invece, che si faceva vedere sporadicamente, era uno splendido esemplare albino che durante l’inverno rigido riusciva a confondere il colore del suo mantello con il candido colore della neve, facile quindi per lei chiamarla Snow White.

Altri Lupi si affacciarono alla radura durante un lasso di tempo di circa tre anni e lei imparò a distinguerne i tratti, le movenze, le abitudini i caratteri.

Durante un inverno molto rigido Shirley arrivò a condividere le parti di un cervo che aveva cacciato con il branco che le dimostrò riconoscenza in seguito, portandole a far vedere due cuccioli di pochi mesi che stettero per un ora almeno a giocare alla lotta, rotolandosi e correndo per tutta la radura sotto lo sguardo attento di Snow White.
Addirittura non era evento raro che i lupi giungessero al tramonto e si accoccolassero intorno a lei sul portico, così che lei aveva cominciato a cantare per loro e il loro massimo apprezzamento le veniva dimostrato quando in coro ululando la aiutavano a finire una o l’altra canzone, l’unico che rimaneva sempre un po’ a distanza, vigile e attento ad ogni più piccolo rumore proveniente dal sottobosco era Black Commander, che annusava l’aria e rimaneva allerta.

Fratellanza

All’inizio di un mese d’inizio autunno del 1992, in un giorno nel quale Shirley stava sistemando alcune parti del tetto con delle nuove scandole prese all’emporio del paese ed il sole era ancora alto, improvvisamente Snow White si trascinò fuori dalla boscaglia il suo mantello bianco era visibilmente macchiato di sangue.
Shirley volò giu per la scala di legno a pioli e le corse incontro raggiungendola giusto a metà del piano erboso, proprio mentre la lupa bianca barcollando per lo sforzo le sveniva tra le braccia.

Sollevandola con attenzione la portò all’interno e la adagiò sul piano in legno che usava per lavorare le pelli degli animali che cacciava.
Aveva lottato, quella lupa aveva lottato, i segni dei morsi erano senza dubbio quelli di un orso, un grande orso, uno di quelli che in qualche giorno dedicato alla caccia aveva intravisto tra i tronchi e gli arbusti, ma al quale si era ben guardata dallo sparare.
<<Un orso ferito è pericoloso quanto un treno lanciato a tutta velocità che sta deragliando verso di te>>
Anche questo era stato uno degli insegnamenti del nonno.
<<Spara ad un orso solo se pensi di essere veramente in pericolo>>
Aveva aggiunto e lei aveva seguito alla lettera il consiglio,
ma ora su quel tavolaccio di assi di legno bagnate di sangue c’era Snow White.
andò immediatamente ad accendere il fuoco nel camino poi prese un pentolino lo riempì d’acqua e lo mise a bollire, aprì lo sportello della piccola farmacia che teneva appesa alla parete, guardò all’interno e cominciò a prendere, garze, ovatta, dell’ipoclorito di Sodio, un ago curvo per suture e del filo 5/0 riassorbibile
Shirley aveva adagiato Snow White su un lato lasciando bene in vista la parte colpita che era attraversata da un profondo taglio di 35/40 centimetri che si dipartiva dalla punta della spalla estendendosi con un disegno a mezza luna fino a metà della gabbia toracica, oltre a quello, erano presenti almeno tre morsi di cui uno abbastanza profondo localizzato nella parte superiore dell’animale tra Schiena e Lombo.

Shirley decise di intervenire immediatamente sul taglio che ad un esame più attento non aveva rivelato nessun danno interno.
Lei sapeva che i lupi sono animali forti dalle mille vite e dopo aver disinfettato i bordi della ferita con garze imbevute di acqua calda alla quale aveva mescolato un po’ di Ipoclorito di Sodio, aveva iniziato a ricucire la carne squarciata di Snow White, che nonostante si lamentasse sembrava aver capito che l’intento della donna era quello di salvarle la vita.

Passarono almeno due ore, durante le quali Shirley si prodigò, cucendo e disinfettando,
disinfettando e ricucendo,
poi una volta che ebbe fatto tutto ciò che era nelle sue possibilità, si fermò un momento e accarezzò dolcemente l’animale sussurrandole:
“Non mollare, vedrai che ce la farai”
E la lupa sembrò annuire anche se forse si trattò semplicemente di un movimento causato dal dolore provato.

Seguirono per Snow White due giorni di riposo e pasti frugali, latte e poco altro, ma dal terzo giorno sembrò improvvisamente riprendersi.
Durante quei giorni c’è da dire che il branco si era “accampato” appena fuori del portico di Shirley, in attesa.
Facendo la guardia incessantemente alla sua porta, ed ogni volta che la donna doveva uscire per andare a prendere l’acqua o la legna, i lupi accovacciati tutt’attorno, rizzavano le orecchie e mentre Black Commander la seguiva in qualsiasi direzione lei andasse facendole da scorta silenziosa gli altri rimanevano fermi immobili a guardare la porta.

Al terzo giorno Snow White ebbe la forza di levarsi sulle zampe anteriori e poi accennò qualche passo malfermo tra il tavolo e una sedia, ma fu al quarto giorno che finalmente fu in grado di mangiare un pezzo di lepre artica e al quinto giorno uscì all’aperto,
tutto il branco l’accolse, si fecero tutti stretti intorno a lei, Black Commander guardò Shirley e fu forse quello il momento nel quale Shirley venne ufficialmente accettata dal branco.

L’attacco.

Passarono ancora due estati e due inverni e il branco ora contava 12 Lupi,
che avevano preso l’abitudine di andare a trovare Shirley, per condividere del tempo con lei e a volte si fermavano fino al tramonto per ascoltarla cantare.

Poi arrivò quel giorno.
Quello che alcuni abitanti del posto ricordano ancora tra le storie raccontate davanti al fuoco, per altri solo una leggenda.

Shirley aveva preso il suo vecchio furgone Chevrolet e si era diretta all’emporio del paese per comprare del latte, del petrolio, della carne secca di manzo ed altre cose per la cura personale e come al solito si era portata un piccolo contenitore di plastica cilindrico nel quale teneva della polvere d’oro, con la quale in paese molti erano soliti pagare merci, benzina e quant’altro.
Quella volta purtroppo quando aveva saldato il conto dell’emporio del paese usando la polvere d’oro, aveva attirato gli sguardi di due giovani perdigiorno che pensando ne avesse chissà quale quantità, avevano preso a seguirla e alla fine erano arrivati senza farsi notare fino a circa un chilometro dalla sua proprietà.

Poi avevano deciso di nascondersi tra il fogliame per attendere il calare del sole e di agire con l’oscurità, Jessee aveva portato il fucile da caccia e il suo compare Smiley aveva un coltello a roncola da conciatore, entrambi di fisico atletico e muscoloso, abituati durante i mesi estivi a lavorare come boscaioli nell’unica fabbrica di lavorazione del legname presente nella zona.
Si mossero appena videro spegnersi la luce all’interno della piccola casetta.
Il loro piano era quello di prenderla di sorpresa.

Jessee fu il primo a mettere la mano sulla maniglia della porta di legno dell’ingresso….
Un leggero cigolio accompagnato da un clic e furono dentro.
L’ambiente era piccolo e buio solo il chiarore fioco della Luna segnava i bordi scuri dei mobili contenuti in quel monolocale e prima che i due si abituassero a quella penombra Shirley colpì Smiley alla testa con una padella, ma Jessee le blocco il braccio che la brandiva e mentre Smiley piagnucolava:
“Mi ha colpito Jess, mi ha colpito forte alla testa”
Jessee stava lottando con Shirley.
“Aiutami deficiente”
gli sibilò aggiungendo:
“Smettila di lamentarti e dammi una mano a bloccarla”
E mentre Shirley si dibatteva ferocemente Jessee le gridò:
“Non vogliamo farti del male, dacci l’oro e ce ne andiamo”
Ma Shirley non aveva intenzione di mollare e comunque di oro, nella casa, ne era rimasto ben poco, forse due o tre grammi nel piccolo contenitore di plastica sul tavolo,
però era una questione di principio,
quei due sconosciuti avevano violato i confini della sua proprietà ed erano penetrati nella sua casa…
La sua casa!!!

Mentre si rotolavano sul pavimento Shirley riuscì a liberarsi un momento e ad afferrare un pezzo di ferro che durante la lotta era rotolato a terra, un vecchio attizzatoio per il camino e con quello cominciò a fendere l’aria menando colpi alla cieca a destra e sinistra, una due, tre volte…
Swiiiish… Swiiisssssh…. Swisssshhh…
Si udì un colpo sordo e subito dopo Smiley cominciò ad urlare:
“Mi hai rotto il braccio, mi hai rotto il braccio stupida troia”.

A quel punto Shirley approfittando del momento di sbandamento dei due delinquenti, si gettò fuori dalla porta,
correndo all’esterno,
quasi volando
attraverso la radura,
sotto la luna piena
e se qualcuno avesse assistito a quella scena avrebbe avuto l’impressione che Shirley fosse un ombra cinese che si muoveva veloce nella notte,
ma più veloce di lei la raggiunse Jessee che con un balzo le fu sopra e l’atterrò
poi mentre con una mano le bloccava entrambi i polsi appena sopra la testa schiacciandoli sull’erba,
con l’altra mano si sfilò la cintura e la usò per legarglieli ben stretti
e guardandola dritta negli occhi le gridò:
“Dov’è quel cazzo di oro!!!”

Ma lei rimase muta, in parte anche perché sorpresa da quella situazione,
Cioè, lei si era già trovata altre volte da sola, cercando soluzioni agli imprevisti o alle cose brutte della vita,
ma ora aveva un uomo seduto sopra di lei che le aveva legato i polsi e che le impediva di muoversi.

“Smiley dove sei?”
quello si teneva il braccio e si lamentava
“Mi ha rotto il braccio la puttana, me lo ha rotto”
“Smettila di piagnucolare, torna dentro e cerca l’oro”
“Ma Jess..”
“Zitto!!!, vai a cercare l’oro muoviti!!!”
Smiley tornò all’interno e cominciò a rovistare, buttando cose tutto intorno.

Intanto fuori in mezzo alla radura Jessee aveva avvicinato il suo viso a quello di Shirley
“Adesso, mentre quello scemo è dentro che cerca l’ oro, noi qua per ammazzare l’attesa, ci divertiamo un po”

E così dicendo le infilò una mano sotto alla maglia spingendola verso l’alto fino a stringerle forte il seno.
A quel punto Shirley che aveva lottato furiosamente ma senza mai emettere un fiato cominciò ad urlare…
Era un suono acuto e prolungato…

Jessee lo scambiò per un grido e questa cosa lo fece eccitare ancor di più
e mentre Shirley continuava ad emettere questo suono Jessee non si rese conto di ciò che stava per succedere.

Quella richiesta d’aiuto non si perse nel nulla.
Quel tremendo ululato emesso da Shirley risuonò in ogni dove…

e i cespugli esplosero intorno a Black Commander il primo a balzare fuori dalla boscaglia che con due balzi fu addosso a Jessee, quello non fece in tempo a dire nulla sollevò solo la testa per guardare da dove arrivasse il rumore e i denti di Black Comander affondarono diretti nella gola, poi serrando le fauci si ritrasse strappando tutto e portando con se le la giugulare interna, le due arterie, carotide destra e sinistra e le due arterie succlavia destra e sinistra…
E fu così che Jessee smise di li a sei secondi di preoccuparsi delle cose del mondo, della spazzatura sul portico, della perdita d’olio dal motore della sua Dodge Challenger, della partita di Bowling e delle lettere della banca.

Contemporaneamente Snow White, Spot e Boots sfiorando soltanto Jessee che lentamente crollava a terra, volavano attraverso la porta attaccando Smiley che ignaro di tutto era ancora indaffarato alla ricerca dell’oro,
le urla del ragazzo non durarono a lungo…
Ora Snow white aveva di nuovo il suo splendido mantello bianco sporco di sangue ma questa volta non era il suo era quello di Smiley e anche la mano che stringeva tra i denti era una di quelle di Smiley.

I tre trotterellarono fuori dalla casa,
tutto intorno era calato un silenzio irreale, i quattro i lupi si strinsero intorno a Shirley e poi dai cespugli in ordine sparso arrivarono gli altri i più giovani e due cuccioli che rotolarono fuori da un cespuglio lottando e mordicchiandosi,
Black Commader l’aiutò a liberarsi della cinta e poi stettero tutti rannicchiati, tutti vicini gli uni agli altri per minuti che parvero ore.

Quando Shirley si alzò si guardò intorno,
il corpo senza vita di Jessee giaceva supino sull’erba con la gola squarciata e quello di Smiley era in pezzi all’interno della casa.
Li per li il primo pensiero andò a quanto tempo le sarebbe servito per ripulire tutto,
ed immediatamente capì che per proteggere il branco avrebbe dovuto nascondere quei corpi…



… Beh, questa è solo una storia, una delle tante che si raccontano in paese sulla scomparsa di Jessee e Smiley, di come il furgone venne ritrovato a circa due chilometri dalla casa di Shirley e dello sceriffo che per mesi cercò di risolvere questo mistero.
I due non vennero mai ritrovati e nemmeno i loro corpi.
A dire la verità nessuno ne sentì la mancanza e presto vennero dimenticati.

Solo i vecchi abitanti del paese, quelli che sanno sempre come vanno a finire certe cose continuano a raccontare la storia di Shirley di BlacK Commander e Snow White.
Una storia come tante altre,
quella di “Shirley dei lupi”.