Una tasca interiore, un’apertura, un marsupio, per contenere le sensazioni, i sentimenti…
L’avevo trovata una mattina mentre mi stavo radendo, di fronte al solito specchio del bagno, quello rettangolare con la cornice bianca e le luci tristi.
La notai per caso, era come pelle morta che si stacca sollevandola e tirandola, ma non fu così che andò…
Si apriva sul petto poco sopra lo sterno, non capisco proprio come non l’avessi mai notata prima.
La fissai per qualche minuto, poi, infilando piano due dita, scostando leggermente la pelle, entrai dentro, con la mano intera fino ad arrivare al polso, così da poter iniziare a palparne il contenuto.
Mi colpì immediatamente la sensazione di velluto sui polpastrelli… Beh, avrei pensato di sentire le costole, gli organi interni, ed invece le mie dita stavano scivolando su qualcosa che, ad un primo impatto, sembrava proprio velluto.
La prima cosa che tirai fuori, non senza combattere un po’, fu un contenitore, una piccola scatola color avana e al suo interno, una luce dolce si estese tutto intorno a me, erano le buone intenzioni e per quanto cercassi di guardare meglio, nella scatola, non vidi altro, infatti, al suo interno non sembrava esserci un fondo, non saprei come descriverla, dentro c’era come una nebbia, che non lasciava scorgere null’altro.
La scatola, in se molto semplice, senza fronzoli, al tatto si presentava completamente liscia, la parte superiore si andava ad incastrare perfettamente con la parte inferiore ed entrambe le parti risultavano avere la stessa forma, grandezza, larghezza ed altezza. Le dimensioni, ma devo ammettere di non aver misurato ne quella ne le altre che tirai fuori, potevano essere di circa dieci centimetri per dieci di lato, per un’altezza di circa due centimetri.
All’atto dell’apertura, aveva rivelato un contenuto assai complesso, infatti al suo interno non v’era qualcosa di materiale o comunque, nulla che potesse apparire come “materiale”, ma bensì, un qualcosa di completamente evanescente e spirituale… Una sensazione… Si, assolutamente, la definirei senz’altro come una sensazione.
Subito, senza troppe domande, si accese in me l’idea di cercare ancora e d’istinto tornai ad infilare la mano dentro me, dopo poco ne trassi un’altra scatolina, questa volta era color vaniglia, aprendola mi apparve subito chiaro nella mente quale fosse il suo contenuto, la pazienza… La pazienza verso se stessi e gli altri…
Uscito dal bagno, tornai a sedermi sul bordo del letto ancora disfatto reduce dalla notte appena trascorsa…
A volte ripensandoci, sorrido, ricordando che quando mi dicesti, che quel letto disfatto andasse sistemato, io ti risposi scherzando che quello non fosse un “misero” letto disfatto, ma bensì fosse un “nobile” letto “dormito”…
E tu replicasti ridendo:
“Allora sbrigati a sistemare quel Nobile letto dormito perché oggi tocca a te rifarlo”
Rimasi un momento in silenzio, avvolto da una nuvola di pensieri…
Le due scatole aperte erano lì tra le mie mani e io le guardavo come una mucca guarda passare un treno…
Fu proprio in quel momento che entrasti a vedere come mai non fossi ancora sceso a fare colazione.
Conoscendomi, sapevi che non sarei mai arrivato in ritardo ad un toast caldo ben imburrato e al mio tè con una goccia di latte molto zuccherato, senza un motivo importante…
“Amore cosa fai ancora seduto sul letto? La colazione è pronta da un po’ e il toast si sta raffreddando”
“Guarda” Dissi,
“Guarda cosa ho trovato” E dicendolo ti mostrai le scatoline aperte… Poi ti indicai la tasca che avevo sul petto…
“Che cos’è?”
“E’ come un contenitore, ci sono queste scatole dentro”. Indicai ancora una volta quell’apertura di circa 20 centimetri.
Mi guardasti stupita.
“Ti faccio vedere”. Dissi infilandoci nuovamente la mano dentro e estraendo un’ altra scatolina, questa volta gialla,
“Tieni aprila” Ti dissi mentre ti passavo la scatola…
Tu un poco riluttante la prendesti dalle mie mani
“Cosa c’è dentro?” Mi chiedesti con la voce leggermente tremolante, tenendola leggermente lontana dal corpo, come fosse qualcosa di estremamente pericoloso…
“Non lo so… Sensazioni credo… Aprila e vediamo”
L’apristi lentamente e nella penombra della stanza, un piccolo lampo di luce gialla ti illuminò il viso.
“Gelosia, questa è gelosia” E lo dicesti guardandomi ancora un po’ arrabbiata per quel sorriso che avevo fatto ieri alla cassiera del Supermercato.
Ti sedesti anche tu sul letto a fianco a me e lo facesti andando a sfiorare il mio braccio destro con il tuo braccio sinistro, sentivo la seta della tua camicia da notte sfregare leggermente la mia pelle nuda.
“Posso guardare io?” Mi chiedesti
“Certo… Ma fai attenzione perché non so come funzioni questa cosa…” Lo dissi, realmente preoccupato,
preoccupato da quel complesso di sensazioni che si andavano sviluppando e che crescevano via via che le scatole colorate venivano estratte dal mio corpo: infilasti la tua mano dentro la tasca, con cautela e ancora adesso ricordo quella sensazione di calore che si andava muovendo dentro me, sfiorando le costole.
La tua mano riemerse poco dopo con una scatola grigia dai bordi arrotondati…
La guardammo per quello che mi sembrò essere un secolo, ti spostasti leggermente di lato creando dello spazio e la posasti tra di noi.
Un po’ riluttante mi decisi… avvicinai la mano e sollevai lentamente il coperchio, questa volta non apparve nessuna luce, ma fu come se si fosse accesa una radio interiore, le voci di tutte le persone perdute, morte durante tutto il tempo del mondo, presero a parlarmi tutte assieme, in tutte le lingue esistenti, comprese le lingue morte o dimenticate ed io fui in grado di distinguerle tutte, comprese le voci dei nonni dei bisnonni dei trisavoli, alcune mi parlarono con dolore, altre con gioia, altre ancora con amarezza, per circa dieci interminabili minuti fui in grado di capirle tutte chiaramente, ed un velo triste e spesso, penetrò dentro me.
Poi come una frustata scomparvero, così come erano venute, tutte, all’unisono, tacquero.
Per tutto quel tempo che riuscii a sentire le voci, ne sono convinto, mi furono rivelate cose molto importanti, segreti incredibili, fatti e accadimenti probabilmente dai risvolti oscuri, ma purtroppo pochi secondi dopo che le voci se ne furono andate, non so come, mi venne tolta la memoria di quelle parole, lasciandomi solo, il ricordo stesso, di averle ascoltate.
Vedesti il mio viso contrarsi in una smorfia di dolore e soffrire…
E allora decidemmo insieme di non parlarne, cercando di cancellare tutto dai nostri ricordi, cercammo di continuare a vivere la nostra vita ed io, cercai di non far caso alla tasca che avevo sul petto, tentammo, insieme, di non pensare al suo contenuto.
Fu solo qualche giorno dopo che ti accorgesti di avere la stessa apertura a tasca, nella medesima posizione.
Ricordo che stavi per provare quel vestito per il matrimonio della tua amica, quella con i capelli corti, non mi ricordo mai come si chiama, quella che al telefono ha quel timbro penetrante e fastidioso che si sente anche senza viva voce.
Io ero in giardino che annaffiavo i fiori, ti affacciasti alla finestra del primo piano e mi chiamasti piuttosto spaventata.
“Amore… Puoi venire un attimo?”
“Appena finisco di innaffiare arrivo…” Ti dissi con il tubo di gomma che tenevo stretto nella mano destra con il pollice posizionato ad ostruire la fuoriuscita dell’acqua in modo da creare quel classico effetto “pioggia”
“Adesso… Per favore”
Quel per favore mi convinse che la cosa fosse seria, chiusi il rubinetto dell’acqua e senza riavvolgere il tubo mi diressi a passo veloce verso la porta d’ingresso, ma una volta all’interno ti trovai già lì ad aspettarmi a metà delle scale che portavano al piano superiore…
Il viso allarmato… Me la indicasti, era una tasca uguale alla mia nella stessa posizione, all’altezza dello sterno.
Rammento che cercai di calmarti, e ti dissi che effettivamente non ci fossero motivi per preoccuparsi, certamente non era una malattia e comunque anche se lo fosse stata, non ne avevo mai sentito parlare.
Quella stessa sera decidemmo di provare a vedere cosa si celasse nella tua tasca.
Cucinasti quella lasagna che sapevi fare solo tu, con poca pasta, molto condimento e quella spolverata di parmigiano, come se avesse nevicato.
Una bottiglia di Brunello del 2010, conservata per una grande occasione, accompagnò le nostre chiacchiere, poi accendemmo il fuoco nel camino, un bel fuoco di legna di Eucalipto e subito un buon odore si sprigionò in tutta la sala, ci guardammo in silenzio seduti uno di fronte all’altro a gambe incrociate sul tappeto, la luce tremula proveniente dalle fiamme del camino animava le ombre, facendole danzare tra gli oggetti, le poltrone, la tavola ancora apparecchiata, i quadri…
poi tu sollevasti il maglione ed incrociando le braccia lo sfilasti…
I capelli per un attimo si confusero con il tuo viso.
Io presi un respiro profondo, ti sorrisi, facendo scivolare la mia mano lentamente nella tasca sul tuo petto…
con le dita toccai quasi subito una scatola, la presi, tenendola tra indice e medio la tirai fuori e subito mi accorsi di aver trattenuto il respiro per tutto il tempo.
Era una scatola nera… La misi sul tappeto
“Vuoi che la apra io?” Ti dissi.
“No… E’ una parte di me… Ho capito che il contenuto di queste scatole è… In qualche modo, l’essenza di ogni singola emozione, di ogni singola parte di noi che poi, mescolate insieme, formano il complesso disegno della nostra vita… Questa scatola nera contiene una parte di me e quindi penso spetti a me aprirla…”
La tua mano si mosse piano sollevando lentamente il coperchio e entrambi guardammo il nero, il buio del tuo essere interiore, che essa conteneva, ogni piccola tragedia della vita ogni tristezza più o meno profonda ogni paura.
Un pianto disperato ci sorprese entrambi, una disperazione tangibile, quasi fisica, ingombrante, presente davanti a noi ma che dava le spalle alle nostre vite, aleggiando tutto intorno nella stanza, cercando di esplodere al di fuori per quanto fosse potente,
una sensazione di fine infinita.
Durò pochi secondi…
Ci perdemmo entrambi per sempre in quel buio…
Essenza d’improvviso.