Qualche anno fa, in occasione del nostro decimo anniversario, chiesi a mia moglie quale suo desiderio avrebbe voluto si trasformasse in realtà.
Resi quella domanda, innocente, semplice e naturale.
“Un viaggio in India…”
Mi rispose lei, con gli occhi sognanti che guardavano lontano,
era una sera a cena con degli amici, a casa nostra, tra un’eccellente lasagna ed un bicchiere di vino rosso,
subito fui attento a lasciar cadere la cosa, affrettandomi a coprire il discorso con altre parole, facendola sembrare una semplice curiosità.
Due mesi dopo mi presentai con due biglietti d’aereo per Nuova Delhi.
Il suo sorriso gli occhi luminosi e la gioia di bambina li ricorderò per sempre, come il regalo per me più bello, un desiderio che si avvera anche per me… Renderla immensamente felice.

Partimmo una mattina presto, preparando due Trolley talmente piccoli che sembrava uscissimo per un week-end sul lago, invece stavamo partendo per un viaggio di tre settimane in India.

Trovammo l’estate indiana, quella del clima torrido, del vento caldo, quello che sembra il fon del parrucchiere, L’India delle diversità del suo popolo unico e molteplice, differente e uguale, dell’estrema povertà e dell’enorme ricchezza.

Trovai per noi un albergo nel distretto di Janakpuri a circa 8 fermate di metro dal centro cittadino, un ottimo posto, anche se solo per tre settimane, per cercare di vivere l’India.

Molte persone nel tempo ci hanno domandato del nostro viaggio e delle cose che abbiamo visto, ma una delle domande ricorrenti ha sempre riguardato la parte esoterica.
“Si avverte in India, quell’aura religiosa che rende l’Induismo così uguale per tutti ma così differente per ogni individuo? “

Io non mi sono mai interessato di Teologia ed in verità la mia esperienza religiosa dell’infanzia mi fu imposta attraverso una notevole quantità di messe domenicali, alle quali io, dovetti assistere moderatamente controvoglia,
quindi, probabilmente, sono l’ultima persona alla quale si dovrebbe fare una domanda del genere…

Ma un giorno mi trovai ad attraversare a piedi una strada trafficata a Delhi…
E quell’esperienza, la più vicina all’Induismo che io abbia avuto in India, è quella che vorrei riuscire a trasmettervi attraverso queste poche righe, e probabilmente nel tentativo di farlo fallirò miseramente, ma è l’unico modo che ho per spiegarvi l’Induismo e la legge del Karma, conosciuta anche come la legge della Causa-Effetto.

Erano circa le 11 del mattino e la colonnina di mercurio già segnava abbondantemente i 40 gradi (devo dire che, in quei giorni di fine Aprile primi di Maggio, le massime arrivarono a toccare i 47 gradi Celsius, all’ombra).
Mia moglie era rimasta in albergo e io mi ero avventurato da solo in strada alla spasmodica ricerca di un Bancomat funzionante…
Tra me e il tanto agognato sportello si stendeva un nastro di asfalto a due corsie, quattro carreggiate, due per ogni senso di marcia, piene di macchine, biciclette, carretti trainati da cavalli, autobus, altre macchine e camion, tutti in continuo movimento.

La mia idea di attraversamento pedonale più vicina a quella situazione, fino ad allora, era stata quella della Via Cristoforo Colombo a Roma un giorno di Sabato molto trafficato.

Feci un respiro profondo di smog, polvere di carbone e legna bruciata e guardai gli altri attraversare…
Con mia grande sorpresa notai che nessuno si metteva a correre nessuno alzava le mani per farsi notare, tutti e dico tutti, uomini, donne, bambini, anziani e altri uomini camminavano senza fermarsi, senza guardare, attraversando il flusso di “metallo rombante” (che non accennava nemmeno a rallentare) come se non esistesse, senza aspettare semafori verdi o rossi senza scosse, vivendo il momento…

A Roma, se avessi tentato di attraversare la Via Cristoforo Colombo in quel modo, diciamo, da “Induista”, una volta morto, mi avrebbero tolto anche tre reincarnazioni e strappato il biglietto bonus “Torna gratis sulla terra”.

Presi il coraggio a due mani e incominciai muovendo i primi passi guardando il lento inesorabile fiume di traffico avanzare verso di me…

Mi accorsi immediatamente che il traffico viaggiava come fosse una cosa sola, un unico grande organismo tenuto insieme dai pensieri di ognuno dei “conduttori”, ognuno dei passeggeri, ognuno dei pedoni, tutti in qualche modo connessi ai propri diretti vicini, in modo da rispettare una velocità ed una distanza adeguata alla situazione in continua evoluzione.

L’idea era che ognuno, tramite i propri sensi, riuscisse a mandare attraverso dei segnali mentali, a tutti, contemporaneamente, la propria posizione GPS, come se tutti avessero un “Tracciatore satellitare mentale”…

Mi lasciai andare, e scivolai nella pancia di quella enorme creatura fatta di carne, metallo e clacson suonati all’eccesso, come in quel fantasioso “Cubo Borg” ben conosciuto dagli amanti della saga di Star Trek,

Fui subito accolto in quella grande famiglia allargata, connessa mentalmente al “tutto” e alla vita e come in una grande illuminazione mi fu improvvisamente chiaro dove passare e quale velocità usare per evitare di entrare in collisione con gli altri, per sopravvivere.

“Venni” accompagnato dall’altra parte della strada con tranquillità sfiorando biciclette cariche di masserizie, tuc-tuc con a bordo turisti fotografanti, autobus stracarichi, camion con cisterne piene d’acqua, mucche, motocarri, altri pedoni…

Quando alla fine mi trovai ad essere adagiato delicatamente sul marciapiedi opposto da quella creatura, la sentii allontanarsi da me, provando un’immediata forte nostalgia.
E’ così bello fare parte di un “Tutto” anche solo per pochi istanti.

Ero stato osservato, accolto, aiutato, condotto, attraverso la condivisione mentale della mia posizione GPS.
Provai ancora e ancora quella sensazione, a volte, lo confesso, attraversai strade che non avevo bisogno realmente di attraversare e la “creatura d’acciaio” ogni volta pareva accorgersi di ogni mio sguardo, di ogni mio movimento, di un sussulto o di un sospiro.

Una possibile risposta, a questa sensazione di grande famiglia mentale, potrebbe essere racchiusa proprio nel tema religioso dominante nell’India di quell’Induismo figlio del Karma, quel Karma che ci ricorda in parte il classico “Non fare al prossimo tuo ciò che non vorresti fosse fatto a te” con l’aggiunta tipicamente Induista “Perché poi il destino troverà il modo di fartela pagare molto cara”.

Ancora oggi, quando sono fermo su un marciapiedi, attendendo l’accendersi di un semaforo o un momento di vuoto per attraversare sulle strisce, guardando il traffico scomposto, egoista e pericolosissimo di Roma, sento montare la nostalgia per quella grande famiglia, la grande famiglia induista del traffico di Nuova Delhi.